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I Fireground presentano il nuovo singolo e si raccontano a SPL80

Published on Febbraio 8, 2021 by   ·   No Comments

Dopo l’anticipazione di “Worm”, arriva oggi negli store digitali il secondo singolo del progetto Fireground intitolato “Don’t Say a Word”, in attesa del primo album di inediti previsto per il 16 Aprile 2021 (Vrec/Audioglobe). Attivo il link ascolto e pre-order CD. Questa volta si tratta di una ballad intensa che valorizza il timbro vocale del frontman Marco Franzese, protagonista anche dell’intenso videoclip realizzato.

«Qui c’è il lato più sognante della nostra musica, – afferma la band –  quello che guarda verso l’Altrove e trascende la realtà. Un contatto intimo e profondo tra le anime, il sogno (o il bisogno?) di una forma di complicità e di comunicazione, la necessità di capirsi senza aver bisogno di parlare».

La band proveniente dalla terra dei vulcani, i Campi Flegrei in Campania, propone un rock alternativo con spunti melodici tra Smashing Pumpkins, Foo Fighters, Coldplay. Sempre attenta e puntuale nelle sfumature la produzione artistica di Pietro Foresti (multiplatino già a fianco di membri di Guns ‘n’ Roses, Korn, Asian Dub Foundation, Unwritten Law) che ha supervisionato l’intero album.

Abbiamo approfittato del lancio del nuovo singolo per scambiare due parole con la band, ecco quello che ci siamo detti (intervista di Andrea Dasso):

Iniziamo dal vostro nome, Fireground, un nome un po’ particolare… cosa significa? Come lo avete scelto?

Diciamo che puoi leggerlo in due modi diversi…da un lato, siccome la nostra musica ha un’attitudine internazionale, sia per il genere che per la lingua (scriviamo i nostri brani in inglese), volevamo mantenere almeno un punto di contatto con la nostra terra d’origine, i Campi Flegrei, area vulcanica a ovest di Napoli, da cui deriva appunto l’immagine di un campo infuocato. Dall’altro lato ci puoi vedere un riferimento a quello che è il nostro approccio alla musica, simboleggiato dalle fiamme, che sottintendono una poetica orientata al “calore”, alla ricerca dell’espressività più esplosiva e al tempo stesso dell’introspezione profonda.

Ci raccontate un po’ come vi siete conosciuti e come avete iniziato a suonare assieme?

Dunque, c’è un nocciolo duro costituito da Roberto Vagnoni (chitarra), Enrico Imparato (batteria) e Fabrizio Sensini (basso) che esiste da tanti anni. Roberto ed Enrico sono amici d’infanzia, cresciuti insieme nello stesso palazzo, mentre l’amicizia con Fabrizio è nata al liceo. L’idea di mettere su una band è nata verso la metà degli anni ’90, in piena epoca britpop. Trascorrevamo i pomeriggi interi su MTV, e guardando il videoclip di “Don’t look back in anger” degli Oasis capimmo subito di voler essere come loro, che avremmo acquistato i nostri primi strumenti e che avremmo formato la nostra band. Provavamo in un garage disturbando il vicinato; suonavamo cover e poi iniziammo pian piano a scrivere anche brani nostri. La scelta dell’inglese è sempre stata naturale per noi, sia per motivi di vicinanza alle nostre principali influenze musicali, sia perché è una lingua che ci dà la possibilità di comunicare potenzialmente anche al di fuori dei confini nazionali, diffondendo il messaggio universale che è contenuto nella nostra musica. E poi all’estero lo fanno tutti senza porsi il problema…solo in Italia riscontriamo ancora una certa resistenza da questo punto di vista. Abbiamo condiviso negli anni tante esperienze, suonando nei licei, nei club di Napoli e provincia, nelle feste di piazza e ovunque ci fosse una chance per noi. Poi ci siamo un po’ persi di vista, fino a quando nel 2017 abbiamo conosciuto Marco Franzese (voce), che ci ha fatto venire la voglia di rifondare la band con rinnovato entusiasmo. Così abbiamo scritto nuovi brani, che sono stati inclusi in una demo che è finita nelle mani di Pietro Foresti, il quale ha accettato di farci da produttore artistico…ed eccoci qui! Oggi facciamo parte della scuderia dell’etichetta discografica VREC di David Bonato, che ha creduto moltissimo nel progetto, e ci apprestiamo a pubblicare il nostro primo album nel 2021.

Quali sono gli artisti che vi hanno influenzato maggiormente nella vostra carriera?

Gli Oasis sono stati molto importanti in fase iniziale, ma c’è da dire che ognuno di noi ha un proprio background musicale specifico, e la sommatoria di tutti questi diversi approcci è il sound dei Fireground. Individualmente ascoltiamo veramente di tutto, non necessariamente rock. Siamo onnivori! Ma dovendo definire il perimetro all’interno del quale nasce la nostra musica, indubbiamente l’epopea grunge degli anni ’90 (Smashing Pumpkins, Pearl Jam, Nirvana, Alice in Chains) ha avuto un’influenza enorme. Esiste poi una componente più soft e di matrice europea (Coldplay, le già citate band britpop, gli U2, The Cure) che è parte essenziale del nostro sound, così come alcune esperienze post grunge dei primi anni 2000 (Creed, Foo Fighters, Kings Of Leon, Alter Bridge, Staind ecc.). In ogni caso, il nostro desiderio è quello di non porci limiti, soprattutto se c’è la possibilità di spaziare in modo ampio tra le diverse sfumature emozionali che la musica mette a disposizione. Vogliamo sentirci liberi e “alternativi” nel senso puro della parola, cioè non schiavi delle mode, ma seguendo sempre e unicamente il nostro istinto, ovunque questo ci porti.

Avete realizzato a dicembre 2020 il vostro singolo d’esordio, Worm, descrivetecelo in 3 parole…

Vanno bene 3 aggettivi? Intenso, diretto, attuale.

State lavorando con Pietro Foresti e Matteo Agosti alla realizzazione del vostro primo album… per il 2021 possiamo aspettarci qualcosa?

Sicuramente l’uscita dell’album, che è prevista per aprile. Conterrà 9 tracce, tutte registrate presso lo Studio Frequenze di Monza, sotto la supervisione artistica di Pietro Foresti e di Matteo Agosti per quanto riguarda la parte di sound engineering. Chiaramente il nostro obiettivo per il 2021 è quello di portare in giro la nostra musica il più possibile, in Italia e – perché no? – anche all’estero, ma come è facilmente intuibile, tutto dipenderà dall’evolversi della pandemia. Speriamo di uscire da questo incubo tra la primavera e l’estate.

Lo scorso novembre avete partecipato al VREC Music Virtual Festival, com’è stata questa esperienza live “virtuale”?

Surreale da un certo punto di vista, dal momento che la dimensione live “alla vecchia maniera” è il nostro habitat naturale; ma anche una boccata d’aria. Considera che il COVID a un certo punto sembrava aver messo in discussione l’esistenza stessa della musica suonata dal vivo, aggiungici che non abbiamo mai avuto l’ambizione di essere una webcam band…e quindi, quando David Bonato ci ha invitati all’evento, siamo stati veramente entusiasti di riassaporare la gioia di incontrarci tutti e 4 insieme per fare musica e proporla al pubblico, seppur in modo virtuale. Ben vengano altre iniziative come questa, nell’attesa di tornare di nuovo su un palco vero.

Da “insider” come vedete la scena indie italiana? Ci sono locali e spazi per le band che vogliono fare “musica in proprio” o predominano ancora le cover band?

Il discorso è veramente complesso e meriterebbe ore e ore di discussione. Oggi sicuramente prevale una concezione della musica intesa come mero intrattenimento o prodotto di consumo, il che chiaramente sottrae spazi e opportunità di espressione a chi invece cerca di portare avanti un discorso fondato su valori e contenuti artistici che abbiano l’ambizione di andare oltre la superficie delle cose. Nella nostra città, ad esempio, è veramente difficile trovare luoghi disposti a proporre musica inedita o comunque indipendente; non ne facciamo nemmeno una colpa verso chi gestisce i locali di musica live, che giustamente inseguono il profitto per una questione di autosostentamento…le cover band, vuoi o non vuoi, destano più interesse, muovono gente, portano soldi. Il problema, semmai, è culturale. Bisognerebbe chiedersi cosa potrebbe aumentare, nel nostro Paese, la domanda di musica emergente, inedita, libera da condizionamenti, veramente “alternativa” e di qualità, perché è quella a mancare al giorno d’oggi. La cover band è rassicurante, garantisce quelle 2 ore di intrattenimento sicuro e senza pretese, alimenta la sensazione di far parte di un rito collettivo al quale tutti possono partecipare…andare ad ascoltare una band di inediti, invece, toglie certezze, impone un livello di attenzione maggiore, implica la volontà di uscire dalla propria comfort zone e di scoprire qualcosa di nuovo, di mai ascoltato prima. A nostro avviso, la scena indie dovrebbe liberarsi di una certa aura di snobismo e tornare a comunicare se stessa in modo puro, genuino, autentico, come accadeva in Italia negli anni ‘90 o all’inizio del 2000, senza porsi il problema di inseguire le mode o di dover piacere a questa o quell’altra fascia di pubblico. Forse solo così sarà possibile un risveglio musicale in Italia.

Ci sono band o artisti della scena indie che seguite?

Ad oggi facciamo fatica a trovare artisti o band indipendenti da seguire, ma questa mancanza di riferimenti dipende anche dal fatto che le nostre ispirazioni musicali vengono da lontano. E’ pur vero che con lo streaming si riescono a scoprire aree inesplorate, per cui la sorpresa è sempre dietro l’angolo; il talento del resto non muore mai, anche se oggi fa più fatica a emergere dalla massa. In passato, comunque, siamo stati molto affascinati da band storiche italiane, tra cui CCCP, Marlene Kuntz, Afterhours e Verdena.

Proiettiamoci nel futuro: chi vi piacerebbe avere ospite nel vostro album d’esordio?

Senza alcuna presunzione, il nostro album d’esordio rappresenta per noi una sorta di rinascita, di riscoperta gioiosa di noi stessi e della nostra creatività, e per questo motivo siamo felici di averlo realizzato noi 4 da soli, senza ospiti esterni, ma soltanto con il contributo di Pietro Foresti e Matteo Agosti. In futuro però non ci dispiacerebbe aprire il nostro sound a esperienze diverse, ospitando magari un violoncellista o un quartetto d’archi, o – perché no – un sassofonista o un genio della musica elettronica. Oppure una voce femminile, e se proprio dobbiamo sognare in grande…magari una delle cantanti che preferiamo. Amy Lee, Cristina Scabbia, Tracey Thorn, Sade, Elizabeth Fraser…vuoi mettere il duetto che ne verrebbe fuori con il nostro Marco? 😉

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